La metamorfosi delle relazioni online

L’essere umano comunica, è in relazione continua con l’ambiente e con gli altri. L’essere umano comunica da sempre e per farlo utilizza le tecnologie, in particolare la parola, parlata o scritta, tecnologie che strutturano il nostro universo mentale (Ong, 2014). La parola orale è fisica, ancorata al presente, è un’azione, un evento, immediata e comunitaria, ci rende partecipi di un racconto nel qui e ora; la parola scritta, o stampata, è mentale, silenziosa, capace di staccare il lettore da colui che scrive, di cambiare il concetto dello spazio e del tempo poiché si adatta al lettore e non segue i ritmi dello scrittore. Se la parola parlata dona potere a chi la pronuncia e coinvolge l’udito, la parola scritta è decontestualizzata, e coinvolge la vista. La parola impone una relazione diversa con la tecnologia. Nell’era elettronica (McLuhan, 2013) la parola orale torna tramite televisione e radio (Oralità secondaria, Ong, 1982), nuovamente sonora, e coinvolge anche altri sensi come la vista. Oggi in internet la parola vive in ogni sua forma e esperienza.
La tecnologizzazione della parola coinvolge anche internet, l’oralità ricompare nuovamente grazie ai video, da Youtube a Tik Tok, ma la parola è contemporaneamente scritta, sebbene meno profonda e interiorizzata perché veloce e istantanea, è decodificata, ed è sia privata che pubblica (De Kreckove, 2010). La parola di internet ci impone un nuovo modo di comunicare, di relazionarci. Un nuovo modo di usare le tecnologie e, di conseguenza, la parola e il pensiero.

Adulti nostalgici e ragazzi consapevoli
In questi ultimi anni internet si è reso protagonista di un dibattito notevolmente acceso riguardo il suo modo d’uso e gli effetti che questo comporta, dall’ottimismo manifestato verso le nuove tecnologie che hanno velocizzato processi, aumentato la mente dell’uomo e reso più facile la vita in generale, al determinismo acceso che vede internet come la causa di perdita sia di abilità mentali che di valori. È innegabile il cambiamento, eppure se da un lato l’eccessivo ottimismo rischia di renderci ciechi di fronte a difficoltà oggettive che le nuove generazioni faticano ad affrontare, come la difficoltà nel dialogo (Turkle, 2016) o nel riconoscere le emozioni altrui (Small, Vorgan, 2008), dall’altro c’è chi si chiede se l’adulto oggi non sia troppo distratto nei confronti di un cambio generazionale già avvenuto e, a causa delle sue convinzioni, fatica a comprendere i nuovi comportamenti, e le nuove esigenze che oggi coinvolgono ragazzi e bambini (Boyd, 2014).
Negli ultimi vent’anni la rivoluzione dei nuovi media è andata ad annidarsi nella normalità (Barrico, 2018), ma c’è chi fatica a comprenderla e accende un dibattito con chi eccede forse di ottimismo, rischiando alla luce della discussione di tralasciare la nuova cultura online che ha già modificato norme, comportamenti, riti e aspettative.
Il computer accelera i processi lavorativi, risparmiandoci del lavoro mentale (Spitzer, 2013), ma contemporaneamente l’essere umano non ama fare e rifare la stessa azione, reagisce alla noia cercando sempre nuove soluzioni che possano rendere più attiva e interessante la sua esistenza (Prensky, 2015).


I fattori che più contribuirono alla diffusione capillare di una nuova apparecchiatura che poteva essere tranquillamente sostituita da un’asta graduata, e la cui nocività per la salute pubblica fu riconosciuta con decenni di ritardo, erano la pubblicità per incentivare l’acquisto, unita alla paura e alle crescenti difficoltà economiche degli strati più poveri della popolazione. (Spitzer, 2013, p. 19)


La realtà quotidiana ci dimostra che il cambiamento è continuamente in atto, e se è vero che i nuovi media sono anche una moda, sicuramente sostenuta da pubblicità e marketing, è anche altrettanto vero che i nuovi comportamenti che li accompagnano stanno plasmando le relazioni e alcuni comportamenti delle nuove generazioni (Miller et al, 2018).


Ma i social media sono semplicemente una moda?

Probabilmente sono diventati popolari, inizialmente, perché ritenuti una moda, rispondendo al principio di Riprova Sociale (Cialdini, 2015), ma è innegabile che oggi si siano trasformati in uno strumento che ci permette, anche, di eseguire azioni, di connetterci e dialogare. Il dibattito critico nei confronti di internet vede nei social media la causa del crescente isolamento dei giovani (Turkle, 2016), eppure alcune recenti ricerche (Miller et.al., 2018) ci svelano una nuova realtà che dovrebbe portarci a capovolgere il nostro punto di vista, per iniziare a studiare i social media non più come una causa ma come una risposta alla solitudine che, indubbiamente, coinvolge nuove e vecchie generazioni.
Siamo immersi nella rete, lavoriamo con essa, comunichiamo e impariamo; utilizziamo i social media perché rispondono ai nostri bisogni di amicizia e affetto, nonostante in molti usino ancora l’anonimato per le relazioni online e chat anche sui videogiochi, è innegabile che nella maggior parte dei casi i social media vengano utilizzati da persone reali, che desiderano confrontarsi e dialogare con amici vicini e lontani.
Abbelliamo i selfie, tendiamo a scegliere le foto da pubblicare dopo molti scatti, probabilmente perché stiamo comunque molto attenti alla nostra immagine, al nostro sé, che decidiamo di condividere con il mondo online. Costruiamo il nostro sé anche in rete, e la nostra autostima è determinata dalla realtà, dalle relazioni interpersonali, dal contesto, ma oggi anche dai like, commenti e cuoricini.

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