Il cambiamento: come i social media hanno cambiato la nostra quotidianità e come le persone hanno cambiato i social media

Negli anni ’50 La teoria degli usi e gratificazioni spostò l’attenzione dall’influenza dei media sulle persone agli usi che il pubblico fa dei media per soddisfare alcuni bisogni (Katz, 1950). Il pubblico diventò finalmente attivo e capace di limitare gli effetti di influenza, o comunque di ottenere dei vantaggi dai media. L’attenzione si è spostata da «che cosa fanno i media alle persone» a «cosa fanno le persone con i media» (Klapper, 1963). I bisogni e le aspettative delle persone variano a seconda del tipo di società e di contesto culturale, oltre che anagrafico, e ci accompagnano verso un nuovo bacino di studio che desidera comprendere l’individuo nel suo complesso mentre utilizza i media.
La ricerca antropologica di Daniel Miller, professore di Antropologia presso la University College of London, “Come il mondo ha cambiato i social media” ha analizzato l’uso dei social media in 9 località differenti (Italia del sud, Turchia sudorientale, due siti in Cina, area rurale e area industriale, Trinidad, Inghilterra, India del sud, Cile settentrionale e Brasile), per un periodo di tempo pari a 15 mesi, e si è concentrata sui social media non come piattaforme, dove le persone caricano contenuti, ma come contenuti. Contenuti che variano moltissimo per luoghi e età, bisogni e motivazioni. Uno studio ampio e complesso che ha messo in luce i diversi utilizzi dei social media, in particolare di Facebook, in diversi contesti culturali. Proprio perché i social media sono media, anche se nuovi, rispettano a pieno titolo la teoria degli usi e gratificazioni, quindi prima di modellare l’essere umano, è l’essere umano stesso che li utilizza in modo differente in base alle sue specifiche esigenze. L’esigenza di socializzazione, ad esempio, viene più volte messa in luce dalla ricerca: non ci isoliamo usando i social media ma li usiamo per creare contatti, spesso per mantenere contatti reali, solo in rari casi per raggiungere contatti virtuali. Quando ci iscriviamo ad un social media una delle prime azioni richieste è creare una rete di conoscenze, e spesso questa rete riflette la realtà, poiché propone conoscenze reali, amici e parenti, prima di esplorare dinamiche sconosciute. Ma i social media hanno anche abbattuto barriere di genere e norme culturali molto radicate, come ad esempio nella società musulmana dove gli adolescenti non possono parlare con persone dell’altro genere senza il consenso dei genitori, ma che oggi, grazie ai social media, riescono a costruire relazioni tra pari indipendentemente dal genere. E ancora:

I social media segnano un ritorno al significato e alla vitalità di gruppi come la famiglia, la casta e la tribù, e un ripudio della precedente tendenza verso i network individuali. Per esempio, famiglie che sono state divise dalla migrazione o dal lavoro transnazionale usano i social media per colmare queste fratture (Miller, et.al., 2019, pp. 40).

In particolare, la ricerca ha evidenziato come in Italia utilizziamo i social media principalmente per mantenere rapporti con persone che già conosciamo, gli adolescenti utilizzano prevalentemente un social media, in base alle scelte del gruppo classe, o del gruppo sportivo che stanno frequentando. Non quindi per relazionarsi con sconosciuti ma per mantenere dialoghi, anche online, con persone che frequentano durante la quotidianità.
Sempre lo stesso studio sottolinea come le immagini condivise non determinino un narcisismo elevato, ma siano un tentativo di conformarsi alle aspettative sociali e ai valori della comunità. Spesso le foto desiderano scatenare ironia, non certo altre emozioni “nascoste”, e anche la scelta di fotografare solo alcuni pezzi del corpo, ad esempio in Italia per diverso tempo abbiamo visto immagini di gambe stese al sole in spiaggia durante il periodo estivo, indicano il desiderio di comunicare agli altri la bellezza della natura, del luogo dove la persona si trova, non intendono sottolineare l’aspetto estetico delle proprie gambe. Sebbene mostrino un sé idealizzato i selfie hanno anche altre funzioni, e vogliono trasmettere esperienze e ricordi socialmente accettabili e condivisi agli altri, dove per altri, come abbiamo visto, si intende spesso un nucleo ristretto di amici reali. Proprio questo collegamento con la realtà ci porta ad intuire che anche i selfie sono normalizzati dalla cultura di appartenenza:

Nell’Italia del sud la visibilità di una persona sui social media pubblici è pesantemente intrecciata con la sua posizione sociale. Le persone percepite come più in alto nella gerarchia sociale locale postano più fotografie di se stesse di quanto non facciano quelle di livello inferiore (Miller et.al., 2019, pp. 202).

I selfie coinvolgono maggiormente i giovani e gli adolescenti per un fenomeno che Miller definisce di autosospensione: quando l’adulto decide di sposarsi cambiano le motivazioni e gli interessi, non sente più la necessità di autoesprimersi online ma desidera condividere i suoi traguardi tramite immagini della famiglia e dei figli.
La complessità delle relazioni, delle motivazioni e delle aspettative che coinvolgono i social media ci porta a dover osservare il come vengono utilizzati da diversi punti di vista, anche antropologico, e soprattutto richiede una attenta analisi lontana da pregiudizi e stereotipi, che altrimenti rischiano di rendere la vita online una “inutile e dannosa” forma di socializzazione, allontanandoci sia a livello generazionale che culturale, dalle reale implicazioni e stravolgimenti che questi stanno portando nella nostra quotidianità.

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